Biografia dell'autore

UMBERTO MOGGIOLI

(Trento, 25 giugno 1886 - Roma, 26 gennaio 1919)

Fin dall’adolescenza nutre interesse per la pittura, alla quale si dedica en plein air nei sobborghi collinari di Trento insieme all’amico Benvenuto Disertori. Grazie a Bartolomeo Bezzi e alla generosità di Antonio Tambosi, nell’ottobre 1904 giunge a Venezia per frequentare l’Accademia di Belle Arti. Iscritto dapprima al III Corso Comune, nel febbraio 1905 viene promosso al III Corso Speciale per la pittura di Vedute di Paese e di Mare sotto la guida di Guglielmo Ciardi, il quale lo avvia alla pittura “dal vero”.

Negli anni seguenti (1906-1907) è fra i migliori allievi di Augusto Sezanne, titolare della cattedra di Ornato, con il quale collaborerà negli interventi di restauro e di rifacimento in stile della Cassa di Risparmio di Rovereto e del Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme a Cavalese. Sul piano della produzione pittorica questa fase giovanile è documentata da soggetti tipicamente lagunari – i viali alberati del Lido, dei giardini Napoleonici e Papadopoli, il bacino della Giudecca osservato dalle Zattere, imbarcazioni da pesca ormeggiate tra le briccole – risolti con assoluta libertà compositiva attraverso l’uso di pennellate rapide e dense.

Nel 1907 la prima apparizione pubblica: appena ventenne viene ammesso alla VII edizione della Biennale con Giardino di sera. Nel febbraio 1908 compie il primo viaggio a Roma; gli esiti di tale soggiorno saranno protagonisti, insieme ad altri “studi e bozzetti”, della personale allestita nell’ammezzato di Ca’ Pesaro nell’estate 1909, anno che lo vede presente ai Giardini con Sole d’inverno e per la prima volta a Burano, chiamato a «imbrattar continuamente tele per Pieretto [Bianco]», ovvero a collaborare con il pittore triestino nella messa a punto del ciclo decorativo incentrato sul “Risveglio di Venezia”.

Alla fine dell’anno raggiunge di nuovo la capitale: qui dipinge A Villa Glori, un «motivo della campagna romana in pieno sole» che sarà poi accettato alla Biennale del 1910; si tratta del primo paesaggio a cui l’artista affida il compito di comunicare un’emozione, uno stato d’animo, una vibrazione poetica («voglio che riesca una cosa sincera ed espressiva in modo che, chi lo guarderà, senta almeno in parte l’emozione che ho provato io sul vero»).

Il giovane pittore

Nel novembre 1910, in compagnia di Benvenuto Disertori, si reca ad Assisi; durante il soggiorno umbro, protrattosi fino all’aprile 1911, Moggioli medita di stabilirsi a Venezia, la città nella quale dice di aver maturato «il senso del colore e il gusto». Scrive alla fidanzata: «a Venezia ho fatto fin qui le mie cose migliori e credo che lì soltanto potrò farne ancora […]. Lavorerò con ansia poiché l’anima mia è piena ed ha bisogno di sfogo e tutto quello che non si può dire con parole… lo trasmetterò nei miei quadri… Farò parlare i miei paesaggi». Poche righe, ma che suonano come una indiscutibile dichiarazione di poetica.

Nel dicembre 1911 con la compagna Anna Fontanazzi si stabilisce a Burano: abita dapprima in Fondamenta S. Mauro e poi al civico 77 in Fondamenta della Giudecca.

Il 1912 è l’anno della «rivelazione stupenda e definitiva» (le parole sono di Gino Damerini) alla settima collettiva capesarina; un successo sancito dal numero di vendite (vengono acquistate 6 opere su 14) e da una pittura piacevole, appagante per gli occhi, capace di restituire le suggestioni atmosferiche legate alle stagioni e al variare delle ore del giorno.

L’anno seguente è ricco di appuntamenti espositivi. Moggioli intraprende un nuovo viaggio a Roma poco dopo l’apertura della prima mostra della Secessione romana, dove è fra i membri del “Gruppo Veneto”, e poi aderisce alla seconda esposizione di Belle Arti promossa dal Comitato Nazionale Artistico Giovanile di Napoli. All’annuale rassegna dell’Opera Bevilacqua La Masa si riconferma “paesista” e commenta con sarcasmo la querelle alimentata dalla stampa in merito al presunto indirizzo “futurista” della mostra: «a Palazzo Pesaro, grande baccano e per nulla ché davvero non c’è niente di tanto originale che ne valga la pena. […] Capirai che dove si suona un trombone non si sente un violino». Una frase lapidaria, che ribadisce la posizione di indipendenza del suo linguaggio figurativo.

Nel 1914 partecipa alla seconda edizione della Secessione romana mentre Sera di primavera, tela di forte impatto emotivo, cromatico e visivo, figura alla XI Biennale veneziana.

Il capitolo veneziano, interrotto da un breve soggiorno ad Asolo nell’ottobre 1914, si conclude nel marzo 1915 a causa del rapido mutare degli eventi bellici.

La moglie Anna, Roma (1916-1918)

In aprile il pittore si arruola volontario a Verona e spera di essere impiegato come disegnatore. Viene ammesso al IX Reggimento Artiglieria da Fortezza e si dice pronto per la «vita di soldato»; ben presto lavora come cartografo alla Direzione dell’Artiglieria, attività che lo impegna duramente, tanto che spesso, dopo lunghe ricognizioni in quota, deve fermarsi a «collegare gli schizzi fatti […] e formarne un gran panorama di tutto il settore». Alla metà del mese di ottobre viene nominato maestro di disegno per tre ore settimanali in IV ginnasio ad Ala, incarico che manterrà fino alla primavera 1916. Continua a non poter dipingere liberamente e comunica più volte tale disagio alla moglie: «sarebbe disastroso stare per tanti mesi di seguito senza occuparmi della mia arte»; «mi piacerebbe occuparmi un po’ dell’arte mia […] sento una profonda nostalgia dei miei motivi lagunari. Quella tranquillità, quella pace». In dicembre viene trasferito all’ospedale psichiatrico di San Giacomo alla Tomba di Verona e quindi all’ospedale territoriale della Croce Rossa di Torino, dove, per via del precario stato di salute, viene riformato.

Moggioli soldato

Nel gennaio 1916 si stabilisce a Cavaion Veronese dove riprende a dipingere «lavorando a dei quadri di un tipo tutto nuovo», nei quali si assiste alla ripresa di interesse per la figura. Alla fine di giugno si reca un paio di mesi a Milano per eseguire dei ritratti su commissione, ma l’ambiente gli appare freddo, poco accogliente: «questi milanesi sono indietro un secolo in fatto di gusto pittorico. Trovano la mia colorazione troppo moderna, il che vuol dire non di loro gusto».

Il 4 ottobre 1916 Moggioli è a Roma; tre giorni più tardi ottiene uno degli atelier di Villa Strohlfern per risiedervi stabilmente. Si tratta dello studio numero 26, descritto alla compagna con parole entusiaste: «non si può immaginare un posto più bello […]; è un paradiso tutt’attorno, quieto, tranquillo. L’unico rumore è il canto degli uccelli». Nel medesimo anno partecipa all’ultima edizione della Secessione romana.

Casa Moggioli a Burano

Nel 1917 invia tre dipinti all’Esposizione delle Tre Venezie presso la Galleria Pesaro di Milano e in estate, su invito di Ferruccio Scattola, si reca a Rocca di Papa.

L’ultima stagione pittorica è segnata da un progressivo schiarimento della tavolozza; di questo cambio di rotta è ben consapevole l’artista: «l’arte che faccio adesso al contrario di quella degli anni felici ch’era piuttosto grigia, patetica, malinconica, è tutta luce, vita gaiezza»; «il mio temperamento si va delineando sempre più nettamente. Le malinconie se ne sono andate assieme alle meditazioni. Ne è saltata fuori un’arte gaia, serena, da ottimista».

Il 21 agosto 1918 raggiunge le Marche, ospite a Carpegna dei coniugi Zandonai e agli inizi di ottobre, mentre è sul punto di riunirsi alla famiglia (sfollata a Varese) e di fermarsi a Milano per visitare l’Esposizione di Belle Arti dell’Accademia di Brera, appena giunto a Firenze è costretto a rientrare a Roma per il rapido diffondersi dell’epidemia di spagnola, la temuta influenza che di lì a poco l’avrebbe strappato alla vita.

Nell'atelier

* Le frasi incluse tra parentesi caporali sono state tratte dal carteggio dell’artista

 

Testo di Mauro Zazzeron

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